«Mamma, è vero che le femmine giocano a tennis e non a calcio? A calcio ci giocano solo i maschi perché non è un gioco da femmine». Sono stanca. È uno di quei momenti in cui hai bisogno soltanto di ficcare la testa sotto le coperte per svenire fino allo strazio della sveglia ma mio figlio di quattro anni non ne vuole ancora sapere di andare a dormire e mi pone l’ennesima domanda esistenziale. Sto per rispondere “sì, è così, hai ragione, ora però vai a letto che domani c’è la scuola”. Una risposta svogliata, solo per troncare in fretta la conversazione. Mi fermo appena in tempo.
Ho letto un numero oggi: cinquantotto. Potrebbe sembrare un numero come tanti. È un numero come tanti. Eppure non è un numero qualsiasi. Cinquantotto sono le donne morte per mano di mariti/ex mariti, fidanzati/ex fidanzati, uomini in generale, nella sola prima metà di questo 2016. Fra sei mesi il bilancio sarà ancora più agghiacciante. Cinquantotto (ripetiamolo) casi di femminicidio compiuti per mano di “uomini che odiano le donne”, bestie educate al possesso di una “femmina” che non è mai all’altezza, inferiore e, pertanto, non autorizzata a prendere decisioni per se stessa.
Le femmine appartengono ai maschi. I maschi decidono il bello e il cattivo tempo, stabiliscono quali lavori possiamo (e non possiamo) fare, decidono quali sport dobbiamo (o non dobbiamo) praticare. Le femmine, noi femmine ci adeguiamo. Ci adeguiamo ai loro tempi, alle loro opinioni. Ci adeguiamo quando rinunciamo alle nostre ambizioni, quando accettiamo le quote rosa (che poi, chi l’ha detto che rosa è per forza femmina?). Ci adeguiamo quando pensiamo che un sindaco donna, una sindaca, non ce la può fare a governare una città come Roma. Ci adeguiamo quando pretendiamo che le lampadine, in casa, le cambino gli uomini. Ci adeguiamo quando riteniamo che no, i maschietti lo smalto non possono, non devono, metterlo. Ci adeguiamo quando siamo in attesa e compriamo tutine azzurre perché sarà un bambino. Ci adeguiamo quando pensiamo che sì, in effetti, il calcio è uno sport per soli maschi.
Ci adeguiamo perché non capiamo che per fermare quel numero, cinquantotto, per farlo magari diventare uno zero, ci dobbiamo impegnare anche noi. Il femminicidio dipende anche da noi. Dipende pure da quello che risponderò a mio figlio.
«Adesso mamma ti spiega una cosa. Ci sono tante femmine che giocano a calcio e sono molto brave. Fanno tiri fortissimi e segnano tanti gol».
«Come Totti?».
«Forse meglio».
«Allora, domani, se Irene mi chiede di giocare le dico di sì, che a calcio ci possono giocare anche le femmine».
Ecco. Così va già meglio. Va già molto meglio.
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